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Intervista a Viviana Calò
Regista del film in concorso “Querido Fidel”.
20 Agosto 2022
Nella seconda serata di MantovaFilmFest abbiamo incontrato Viviana Calò, ospite della manifestazione per presentare l’opera prima in concorso Querido Fidel.
Ci siamo fatti raccontare per prima cosa da dove viene l’idea del film: «Tutto parte da una notizia che ho sentito in radio nel 2008: Fidel Castro abdicava per motivi di salute e lasciava il suo posto al fratello Raùl. Io, nata e cresciuta negli ambienti di sinistra a Napoli, ho vissuto un’adolescenza col mito di Cuba. E allora mi sono chiesta: come reagirà quel Paese alla fine di quel mito? E più in generale, come reagisce una persona alla caduta di un suo mito? Da lì ho scritto prima un racconto e poi ho sviluppato il progetto del film».
Ma quindi è un film nostalgico? «Assolutamente sì! Io mi sento nostalgica, e mi sento parte di una generazione nostalgica almeno politicamente. Non abbiamo vissuto il ’68, abbiamo vissuto la stagione del G8 che con la sua conclusione ha spezzato molti sogni. Avevamo più strumenti della generazione precedente, pensiamo ad esempio al digitale, e avevamo individuato battaglie concrete che probabilmente facevano paura. Anche cinematograficamente è un film nostalgico, perché ho voluto recuperare un linguaggio visivo più statico, senza insistere sulla camera a mano in costante movimento: ho cercato di rifarmi in questo senso alla grande commedia italiana, in cui la macchina da presa era “ferma” e non rincorreva la messinscena».
Il film ha come protagonista Gianfelice Imparato: «Gianfelice è letteralmente un amico di famiglia, e mi sento molto fortunata ad aver lavorato con lui. Io non ho fatto nulla se non scrivere il suo personaggio, lui ci ha messo tutto il suo talento e il suo straordinario volto di burbera malinconia, perfetta per il protagonista che avevo in mente. È stato davvero generoso e protettivo con me e di questo gli sono molto grata».
Un’ultima battuta sullo stato di salute del cinema italiano. «Da produttrice oltre che regista mi rendo conto dei limiti del sistema di produzione e distribuzione che c’è in Italia rispetto per esempio alla Francia. Lo scoglio distributivo è forse il più grande perché non è regolamentato a sufficienza o quantomeno non nella maniera più equa. Mi ritrovo di più in un sistema come quello francese, dove ci sono sale che sono aperte proprio per la distribuzione dei film co-prodotti dal Ministero. Cosa che qui non accade, e quindi succede che tanti film vengono fatti ma non vengono visti».